Giorgio Cordini

Chitarrista e compositore

17 Aprile 2023

Su prima BERGAMO un articolo dedicato alla canzone della diga del Gleno

Su prima BERGAMO un articolo dedicato alla canzone della diga del Gleno

“Viene giù il Gleno”, la graffiante canzone di Giorgio Cordini per le vittime della tragedia

A cento anni dalla tragedia in Val di Scalve, il musicista, già al fianco di De André, propone un intenso ricordo.
Con lui le voci di Omar Pedrini, Cristina Donà ed Enrico Bollero
Val Seriana, 13 Aprile 2023

di Giambattista Gherardi

«Questa canzone è dedicata alle vittime del crollo della diga del Gleno e a chi non ne conosce la storia». È condensato in una stringata dedica finale il senso di Viene giù il Gleno, il brano con parole e musica di Giorgio Cordini presentato in coincidenza con l’anno che ricorda il Centenario della tragedia della Val di Scalve.

Al ricco programma di eventi celebrativi (convegni, concerti e una commemorazione in quota con le alte cariche dello Stato il prossimo 1 dicembre) si unisce questo progetto musicale, destinato a ricorrere nella mente e nei ricordi, quasi si trattasse di una struggente ballata. Un genere di cui Cordini è alfiere ideale: dopo un’intensa carriera da strumentista a fianco del grande Fabrizio De Andrè, Giorgio ha scelto la Val di Scalve come “luogo del cuore” in cui risiedere.

Il brano racchiude in poche strofe quanto accadde nel 1923 e dipinge un affresco più che efficace del contesto e delle responsabilità di quella tragedia, grazie alle voci dello stesso Cordini, Omar PedriniCristina Donà ed Enrico Bollero.

La parte strumentale vede protagonisti Giorgio Cordini (chitarre e bouzouki), Max Gabanizza (basso), Alberto Venturini (percussioni, batteria), Davide Albrici (trombone), Andrea Belingheri (cori) e Marta Cordini (cori). A raccontare tutto ci sono l’incipit («…il sacco di cemento sulla schiena pesa quanto la miseria della vita…», oppure il graffiante «…bastassero il lavoro e la fatica, da soli, a tenere su quel muro…»).

La tragedia del Gleno resta una ferita aperta, visibile e palpabile come i ruderi sventrati ancora visitabili in quota. Il senso di quanto accadde quel giorno è tutto nei paragrafi iniziali del libro Il crollo della diga di Pian del Gleno, scritto nel 2007 da Umberto Barbisan.

«All’alba del primo dicembre 1923, Francesco Morzenti era l’unico sorvegliante della diga di Pian del Gleno e il principale testimone della catastrofe, ma il suo resoconto dei fatti, rilasciato alla stampa e agli inquirenti, varia alquanto in relazione a quando e a chi lo dichiarò. In una delle prime versioni, Morzenti raccontò di aver ricevuto una telefonata dalla centrale idroelettrica di Molino di Povo, verso le sette del mattino: l’interlocutore gli ordinò di aumentare la portata dell’acqua inviata alla centrale idroelettrica. Morzenti lasciò la cabina di controllo e si avviò verso la passerella a valle della diga, posta sotto i possenti piloni nella parte centrale della gola. Era buio, piovvigginava ed era già arrivata la prima neve che imbiancava le cime. Mentre azionava il volano per aprire la valvola della saracinesca di scarico, sentì un tonfo, una vibrazione, quasi un piccolo terremoto, caddero sassi. Poi vide una fessurazione allargarsi da uno dei piloni; fuggì, riuscendo a stento a salvarsi».

«Quella tragica mattina, sei milioni di metri cubi di acqua e fango si riversarono dall’enorme fenditura della diga sui villaggi sottostanti, causando 356 vittime accertate ma, probabilmente, i deceduti furono di più; qualcuno scriverà quasi cinquecento. L’ondata fu preannunciata da un violento spostamento d’aria che iniziò l’opera di distruzione, strappando le vesti a chi si trovava all’aperto, seguita dalla massa d’acqua che dopo aver devastato i centri abitati della valle, si esaurì nel lago d’Iseo. L’ondata distrusse Bueggio e sommerse Dezzo, dove si svilupparono rapidi incendi e deflagrazioni nella fornace di ghisa e nella centrale idroelettrica.

Il processo penale, celebratosi fra gennaio 1924 e luglio 1927, condannò il proprietario dell’impianto, l’azienda Viganò, il progettista e direttore dei lavori, l’ingegner Giovan Battista Santangelo, e l’impresa costruttrice ad alcuni anni di reclusione, poi condonati, oltre al risarcimento dei danni ai superstiti da parte della Viganò. Il giudizio dei periti del tribunale fu lapidario: la diga era stata malamente costruita; al giudizio dell’accusa si associò quello popolare in un coro di proteste contro gli impianti idroelettrici».

Ora a ricordare quegli eventi c’è anche la leggerezza profonda della canzone di Cordini. Viene giù il Gleno è stata realizzata da Edizioni Fingerpicking.net, con il patrocinio di Comunità Montana di Scalve, Comuni di Vilminore, Schilpario, Colere e Azzone, Comunità Montana di Valle Camonica, Comuni di Darfo Boario Terme e Angolo Terme.